Composability, come costruire – mattone dopo mattone – un’azienda Agile

Zini di Kirey evidenzia quanto, nella composability, sia centrale per i CIO scegliere le applicazioni in base alla loro capacità di essere divise in moduli e di abilitare metodi di integrazione maturi.

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Composability, come costruire - mattone dopo mattone - un’azienda Agile

Zini di Kirey evidenzia quanto, nella composability, sia centrale per i CIO scegliere le applicazioni in base alla loro capacità di essere divise in moduli e di abilitare metodi di integrazione maturi. “Occorre selezionare i software in modo oculato, verificare che le API scelte diano veramente flessibilità di integrazione”, sottolinea Zini. “Spesso se ne valutano le funzioni, ma non si analizzano a fondo le capability di integrazione, che invece sono essenziali per creare modularità. Poi, ovviamente, ci sono anche le piattaforme digitali ad hoc pensate per semplificare l’integrabilità”.

Come diventare un’azienda composable

Per costruire con successo la composability, la base di partenza è l’infrastruttura di integrazione, ovvero la maturità del contesto applicativo: i sistemi devono comunicare tra loro e devono farlo a livello architetturale. Occorre, dunque, “spacchettare” l’infrastruttura monolitica, o – spiega Zini – “segmentare le funzioni applicative in una serie di unità, che Gartner chiama chiama Packaged Business Capabilities (PBC), dove ogni PBC incapsula al suo interno funzionalità di business specifiche ed altamente coerenti, offrendo all’impresa una maggiore capacità di cambiamento e una più elevata rapidità nell’assemblare, smontare e riutilizzare team e tool a seconda delle esigenze”.

Nell’architettura modulare, infatti, l’IT si compone di “pezzetti di piattaforme” su un framework comune (che, a seconda delle strategie, le aziende si costruiscono da sé o acquistano sul mercato) gestiti come sistema autonomo, ma integrato. Ciò evita all’IT di dover cambiare l’intera piattaforma quando servono aggiornamenti o modifiche: è sufficiente intervenire su uno dei mattoncini o “building block”. Questo ecosistema tecnologico uniforme viene ricercato soprattutto dai CIO delle imprese che si interfacciano con l’utente finale tramite servizi, app mobili e siti web – come nel caso di Sisal – ma anche di diverse banche o PA italiane.

Non a caso, il citato studio di McKinsey è stato condotto su 40 big globali del retail banking nel corso di 4 anni e i 20 istituti con le prestazioni finanziarie migliori mostravano di aver adottato una strategia DevOps. Il modello seguito per attuare la composability può variare, a seconda delle esigenze e delle dimensioni dell’impresa: alcune banche hanno creato una digital factory (una funzione separata che costruisce le soluzioni digitali per l’azienda), altre hanno adottato lo schema product-and-platform (in cui i team vengono suddivisi tra chi si occupa di migliorare la user experience, e chi sviluppa servizi riusabili per accelerare il lavoro di tutti gli altri), altre ancora sono passate a una “agility pervasiva”, in cui le prassi della flessibilità vengono portate anche al di fuori delle aree technology-intensive dell’azienda per abbracciare l’intera organizzazione. 

Le nuove competenze del CIO e del team IT

Nella strategia di Sisal c’è anche un altro elemento chiave: i centri di competenza. L’azienda ne ha tre, uno per lo sviluppo su Android per le app, un secondo per lo sviluppo su iOs sempre per le app, e il terzo per lo sviluppo su Adobe per i siti web.

“Sono entrato in Sisal tre anni fa e da allora l’area mobile è passata da 5 a 50 persone, con un importante investimento in recruiting e formazione”, evidenzia il CDO Filizola. “Per sviluppo web e mobile investiamo diversi milioni di euro l’anno sia sulle risorse umane, con attività di formazione e aggiornamento, che sulle licenze per i software che usiamo”.

La composability corrisponde anche a una nuova mentalità, che dà al modello modulare una valenza di business strategica e richiede, evidenzia Zini, un approccio organizzativo che assicura ai team dedicati all’integrazione sia autonomia che metodi standardizzati per la composability.

In definitiva, come sempre nella trasformazione digitale, l’approccio culturale è la parte preponderante e al CIO spetta un compito articolato e molto “moderno”: non solo guidare le implementazioni IT, creando architetture modulari by design, ma stimolare la consapevolezza della C-suite e l’evoluzione della mentalità nel suo team e nell’intera organizzazione.  

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